Contenuto | Seconda tappa: Casa natale - San BernardinoL'acqua di Malo (p. 1203) […] Certo, abbiamo (tutti credo) anche delle riserve, ci sono cose che è impossibile preservare, o che vengono guastate e deturpate: anche per la nostra vecchia casa, che è stata come si direbbe in Inghilterra “convertita” o ristrutturata con una certa pulizia, è chiaro che la struttura reale, quella che importava a me è andata a farsi benedire, con gran rimpianto mio e di Katia. Se avessimo avuto i mezzi materiali non l'avremmo ceduta, e l'avremmo certo ripristinata in altro modo, non tanto l'ala di qua dove stavamo noi, quanto l'intero complesso, il portico sarebbe ancora un portico non un negozio, e il cortile sarebbe ancora lì, e i casottini e gli orticelli-di-pace e gli squarci delle porte e delle finestre ( dove si è potuto squarciare) non ci rattristerebbero l'anima irascibile. Negli anni in cui si è fatto lo scempio, la sensibilità per queste cose era forse meno diffusa, io e Katia avevamo la sensibilità ma solo quella, e così è successo ciò che è successo, e che è ormai irrimediabile. Oggi credo che funzionerebbe una diversa coscienza urbanistica. […]
Libera nos a malo (p. 5) S'incomincia con un temporale. Siamo arrivati ieri sera, e ci hanno messi a dormire come sempre nella camera grande, che è poi quella dove sono nato. Coi tuoni e i primi scrosci della pioggia, mi sono sentito di nuovo a casa. Erano rotolii, onde che finivano in un sbuffo: rumori noti, cose del paese. Tutto quello che abbiamo qui è movimentato, vivido, forse perché le distanze sono piccole e fisse come in un teatro. Gli scrosci erano sui cortili qua attorno, i tuoni quassù sopra i tetti; riconoscevo a orecchio, un po' più in su, la posizione del solito Dio che faceva i temporali quando noi eravamo bambini, un personaggio del paese anche lui. Qui tutto è come intensificato, questione di scala probabilmente, di rapporti interni. La forma dei rumori e di questi pensieri ( ma erano poi la stesa cosa) mi è parsa per un momento più vera del vero, però non si può più rifare con le parole. […]
Libera nos a malo (p. 111) […] La casa era sommamente bella in certi giorni d'autunno, verso sera: in ogni parte si lavorava, in officina sciabordavano le cinghie dei macchinari, stridevano le lime, ronzava il trapano. Zio Checco martellava sull'incudine, zio Ernesto sotto la tettoia cambiava una gomma alla SPA, il papà ossigenava vicino al pilastro e lo si vedeva chino sopra il lungo pennacchio della fiamma blu; gli operai preparavano i torpedoni in cortile. Nella lissiara stavano facendo il vino con gli ultimi cesti che le vendemmiatrici avventizie portavano dall'orto. Nella cucina della zia Lena girava uno spiedo d'uccelli davanti alle vampe del focolare; la zia Nina in ufficio ripassava i conti di fine mese, i ragazzi studiavano in cucina, i bambini giocavano nel portico. Mi affacciavo alla finestra della camera che dà sul cortile, lasciando quello che stavo leggendo, e mi rallegravo. […]
L'unico che scese davvero dal tetto con l'ombrella fu Gastone-Fiore: veramente aveva tentato di far fare la prima prova al bonario e servizievole Sandro, adducendo la necessità di un controllo tecnico da terra, ma Sandro stavolta si era impuntato. Tutto avvenne in un lampo: un momento Gastone-Fiore saltava, un momento dopo era seduto per terra sotto l'ombrella sfasciata. Fu raccolto in quella posizione e portato direttamente a letto: dice oggi che gli pareva di essere nel Corrierino dei Piccoli; sentiva le stelle rosse risalirgli dal sedere alla testa e esplodere contro il soffitto. […]
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