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Villa Checcozzi Carli Dalle Rive - Corte dei Loschi

CHECOZZI CARLI DALLE RIVE - CORTE DEI LOSCHI

Nel Quattrocento nell’attuale corte di Villa Checcozzi si trova un casale appartenente ai Loschi. A metà Cinquecento la corte viene rinnovata e si costruiscono la dimora padronale, le scuderie e le stalle. Appartiene loro anche il Serraglio un ampio terreno allora coltivato ad alberi da frutto. Nel Seicento la Corte e il Serraglio diventano proprietà dei Ghellini per poi passare nel Settecento a Matteo Checcozzi, avvocato di Vicenza. L’attuale impianto della villa è progettato sempre nel Settecento dal Muttoni, che preserva una preesistente, quanto suggestiva, stanza dell’alcova cinquecentesca. Voluta da Matteo Checcozzi come luogo di rappresentanza, la villa si presenta piuttosto come un palazzo di città, pertanto in contrasto con il contesto rurale in cui si trova. Il vasto complesso domina il centro della piccola frazione, articolandosi in una corte rurale di ampie dimensioni, che trova coronamento nella villa impostata nell’angolo sud-orientale, idealmente rivolta

 

verso la città di Vicenza. La facciata principale addensa al centro gli episodi architettonici più interessanti, per distendersi poi con superfici lisce e un ritmo più allentato nei settori laterali leggermente arretrati. L’edificio poggia su un breve basamento a scarpa in bugnato gentile, delimitato da una modanatura a toro e appena interrotto da una breve gradinata. Quattro lesene di ordine composito accendono la tensione luministica della zona mediana, dove le aperture si accavallano in altezza su due piani. Al di sopra dei fori del pianterreno vi sono tre riquadri, ancora incorniciati con bugne, che forse dovevano contenere dei bassorilievi, mentre le finestre in corrispondenza del piano nobile si arricchiscono di balaustre e di cornici modanate con motivo a orecchietta. Conclude la parete un’alta ed elegante trabeazione, con risalti in corrispondenza delle lesene, che riserva la cornice a dentelli e l’iscrizione nel fregio al solo settore centrale, proseguendo ai lati in maniera più semplificata La maggiore importanza del corpo centrale è segnalata anche dall’attico, che riprende la tessitura sottostante con tre finestre quadrate strette tra brevi fasce rilevate; esso costituisce una sorta di compromesso tra il tradizionale fastigio timpanato delle ville palladiane e soluzioni più consone ai palazzi di città. La sicura trama di linee orizzontali e verticali trova immediata continuità sui fianchi, dove però viene bruscamente interrotta, quasi che il progetto manchi di un’ulteriore prosecuzione laterale pensata dall’architetto. Questo fatto tuttavia ci consente di riconoscere sul prospetto orientale la presenza di strutture più antiche inglobate nell’attuale edificio, caratterizzate da muri contraffortati e da modeste aperture protette da pietra sporgente a guisa di piccola pensilina, con inferriate di fattura cinquecentesca. All’interno, il grande salone passante a doppia altezza è interamente affrescato: l’abile quadraturista proietta finte architetture su paesaggi agresti incorniciati da un colonnato dorico. I pavimenti sono alla veneziana e il soffitto conserva travature semplici, mentre un ballatoio in legno corre su tutto il perimetro disimpegnando gli ambienti del primo piano.

 

Le quattro porte che immettono nelle stanze laterali mostrano una incorniciatura a orecchio, identica a quella di tutti gli altri infissi interni ed esterni.

 

A destra del salone si trova la cosiddetta alcova, formata da due vani di diversa altezza – coperto da una volta a ombrello ribassata e decorata quello più a nord –, suddivisi a metà da tre archi sostenuti da quattro telamoni. Altri ambienti della villa presentano soffitti a padiglione e caminetti di gusto settecentesco. Sul fondo del salone si apre il vano che contiene la scenografica scalinata a doppie rampe convergenti, raccordate superiormente in un’unica rampa con stucchi e balaustre in pietra: affreschi sfondano illudecorativo sionisticamente il soffitto e tre statue allegoriche occupano le nicchie ricavate a livello del pianerottolo. Assegnate alla scuola dei Marinali, esse rappresentano la relazione tra scienza e fede, rispondendo probabilmente a specifiche richieste del committente.

 

Al piano seminterrato rimane una cantina voltata e una ghiacciaia a pianta cruciforme Il complesso si conclude sul retro con la corte rurale, formata da lunghe barchesse di epoche diverse e dalla torre colombara recentemente restaurata. Queste strutture sono completamente autonome rispetto alla casa padronale. Cevese (1971) aveva proposto l’attribuzione della villa, per via stilistica, all’architetto padovano Girolamo Frigimelica, ma recenti scoperte documentarie (Saccardo 1995) ne hanno restituito la paternità a Francesco Muttoni. Il giureconsulto Matteo Checcozzi chiamò Muttoni nel 1717 per rinnovare interamente il complesso cinquecentesco già appartenuto ai Branzo Loschi e ai Ghellini. Con un’abile concatenazione di vani preesistenti e la scelta di innovative soluzioni architettoniche, l’architetto realizzò così una prestigiosa villa, arricchita nel 1720 – millesimo leggibile in un affresco – dal sontuoso apparato illudecorativo e pittorico interno, i cui autori sono ancora ignoti.Dopo l’estinzione della casata, tutti i beni vennero acquistati nel 1785 da Orazio Vecchia; in seguito furono dei Reghellini e per via di matrimonio passarono dapprima ai Carli e ora ai Dalle Rive Carli.

 

 

 

 

 

ALTRE INFO NEL SITO : ISTITUTO REGIONALE VILLE VENETE (effettuare la ricerca selezionando il Comune di Malo):

 

http://irvv.regione.veneto.it/index.php?wp=INDEX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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