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Comune di Malo

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Quinta tappa: Prà Comon

Libera nos a malo (p. 78) In Castello si sale per due strade, una stretta a zig-zag, sullo spigolo della costa che guarda in Prà, l'altra più ampia, ripida e dritta, fiancheggiata da platani. Questa arriva quasi a perpendicolo sulla strada che viene dal paese, anch'essa bordata da grossi platani; la scarpata precipita nel torrente.

Scendere con qualche velocità dalla “riva dritta” del Castello quando non c'erano come ora i gradoni che ci ha messo il prete, era pericoloso. Si trattava di svoltare in fondo molto bruscamente a destra, verso il paese; chi non ci riuscisse aveva una scelta: o un platano, o il salto in fondo al greto. Il gioco si faceva con la bicicletta, o con la slitta d'inverno. L'importante era frenare il meno e il più tardi possibile; ma con le biciclette si era trovata una variante più ardita, spogliando la bicicletta di freni e di catena. Innumerevoli miei compagni finirono giù nel torrente; uno che scelse il platano troppo tardi morì in alto, sulla proda. […]

 

Libera nos a malo (pp. 61-62) In Prà (“Pra-e-cumón, prato del comune) sotto lo scoscendimento del Castello che chiamiamo il giarón, si facevano partite di bocce coi sassi del torrente, e partite di calcio in un campo sagomato come un trapezio tra gli alti platani in doppia fila; periodicamente ci venivano le giostre e di tanto in tanto un circo.

Il più memorabile fu il circo della Fanny. Questa fu una delle morose di mio zio Dino, il quale mi pareva un uomo eccezionalmente provvisto di morose, anzi in certi momenti lo consideravo il moroso effettivo o potenziale di tutte le donne attraenti. A me bambino la Fanny vista di sotto in su quando s'equilibrava sul filo, a gambe ignude, incipriata e tutta luccicante sotto il parasole giallo, pareva una creatura incantevole. Non posso dire però che fosse la cosa più importante del circo.

C'era il FORTE, un signore a torso nudo che rompeva catene e altri oggetti, e che dichiarò di volersi far passare sul petto un'automobile. Mio zio Checco andò a prendere l'OM targata 13 VI, una sei posti scoperta, montò colle ruote su una pedanetta, e fingendo esitazione, declinando ad alta voce ogni responsabilità, scese colla gomma anteriore sinistra sul petto nudo del FORTE disteso per terra, e vi si trattenne a lungo. Qui s'intrecciò una conversazione tra il signore sotto la ruota e lo zio Checco al volante, poi per infondere un ultimo fiotto di meraviglia lo zio Checco che era entrato nello spirito della cosa, suonò la tromba scatenando un grande applauso; infine scese dal petto del FORTE. Questi voleva fare una seconda prova con la ruota posteriore, caricando sull'OM gli spettatori più pesanti e il maresciallo dei carabinieri; ma il maresciallo stesso si oppose con molto disappunto di tutti. […]

 

Libera nos a malo (pp. 101-102) […] C'erano luoghi inesprimibilmente ameni lungo il torrente: boschetti di acacie, praticelli come quello in fondo al Prà, oltre il doppio anello dei platani, un margine d'erba più basso del prato comunale, quasi al livello del torrente. Il dirupo del Castello lo chiude scendendo con uno speroncino di roccia aggirato da una traccia di sentiero nel sasso. Sopra la roccia un aspro recinto di spine rinserra il brolo antico del prete, aggrappato alla costa che spiove, e da questa parte affatto inaccessibile. Era uno di quei luoghi perfetti che si trovano nei romanzi di cavalleria; l'erba, l'acqua, la roccia, l'orto misterioso, aereo, e l'alto dirupo alle spalle e la prospettiva dei platani. Invece appena al di là del torrente c'erano i muri e gli orti del paese, le schiene rozze delle case ( lì di fronte è quella dov'è nato mio nonno), le viottole dove non passava nessuno, tranne un bambino con la capra. Altri luoghi ho riconosciuto poi nei racconti di cavalleria, a cui davano adito i sentieruoli dietro al Castello, luoghi come la Fontanella, il Paraìso, con la polla dell'acqua sorgiva, il muschio e l'ombra pezzata degli alberi. […]

Via S. Bernardino, 19


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